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Fast Fashion

Foto: Anne Nygard/Unsplash

Produzione e consumo

Sì, la moda è sempre più sostenibile

Dalla seconda mano alle fibre amiche dell'ambiente, l'usato è più fashion che mai

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La moda è sorella della morte, perché entrambe sono figlie della caducità ed entrambe immortali». Lo diceva Giacomo Leopardi, nelle Operette Morali, tentando di descrivere il rapporto tra queste due entità astratte. E infatti aveva ragione, perché la moda, e così i capi d’abbigliamento, gli accesori, e tutto quello che ha fatto tendenza, oggi non muore più, non viene cestinato e dimenticato nell’immondizia, ma si ricicla, riutilazza, reinventa. I negozi dell’usato di abbigliamento non sono più una novità. «Qualcosa nei modelli di consumo sta però cambiando e c’e’ una nuova percezione del second-hand, non più un ripiego, ma una scelta «smart & cool» - spiega a La Domenica l’economista Marco Ricchetti, Docente del Master in fashion innovation, erogato dal Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI in collaborazione con Ticinomoda -. La tendenza all’usato la cogliamo soprattutto nelle nuove generazioni, dai Millennials agli Zoomers. La combinazione della nuova percezione con l’avvento delle tecnologie digitali e delle piattaforme di vendita e scambio online ha fatto il resto generando una crescita vorticosa del mercato».

Come cambiano i comportamenti

Uno studio di Vestiaire Collective, una delle principali piattaforme per la vendita e l’acquisto dell’abbigliamento second-hand con 11 milioni di utenti registrati in 80 Paesi, e del Boston Consulting Group «ha stimato che - continua Ricchetti -, oggi il mercato della moda second-hand rappresenti globalmente 40 miliardi di dollari. La crescita media prevista nei prossimi anni è del 15%-20, una accelerazione che porterebbe il valore del mercato a circa 75 miliardi di dollari nel 2025, con tassi di crescita più elevati nei Paesi ad alto reddito». E infatti, a ben vedere, «sempre lo studio del BCG analizza le motivazioni di acquisto. La novità è che per una quota molto elevata di consumatori la ragione principale per acquistare nei canali del seconda mano è la possibilità di trovare capi unici e un’ampia varietà di stili e marchi, sicuramente più ampia di quella che si trova nei canali usuali». Tuttavia, secondo il medesimo studio, «permane - ovviamente - anche una elevata quota di consumatori che sceglie la seconda mano per la convenienza e la possibilità di acquistare modelli altrimenti fuori dalla portata del budget». A questo crogiuolo si aggiunge - purtroppo ancora - una minoranza, «di chi si avvicina alla seconda mano soprattutto per motivi di consapevolezza ambientale». Insomma le abitudini cambiano, e con esse il mercato.

L’online va alla grande

Le app e i siti Internet propongono le nuove collezioni con una velocità esorbitante, e i consumatori, talvolta, faticano a stare dietro alle nuove tendenze. Ma anche il vintage è ormai affermatisimo online, infatti, «se si deve individuare un anno il cui cambio di velocità per questo canale - osserva Ricchetti -, che la pandemia non ha frenato ma anzi rafforzato, il 2019 è stato fondamentale. Business of Fashion ha calcolato che tra il 2019 e il 2021 sono andate live almeno 13 nuove piattaforme dedicate al second-hand, in una rincorsa che ha coinvolto consumatori, marchi della moda e investitori».

E, ça va sans dire, il Ticino non è stato esente da questo trend. «Durante il primo lockdown il mondo vorticoso in cui vivevo si è pacato per qualche mese, e ho avuto l’occasione per riflettere, e mettere a fuoco la mia missione», spiega Daiana Giorgi, che ha lavorato come buyer per 20 anni nel mondo dell’alta moda per un brand di lusso, per poi scegliere di dedicarsi unicamente al vintage, fondando un brand che offre, oltre a collezioni create assemblando e mischiando pezzi del passato con quelli del presente, anche servizi di consulenza di immagine e personal shopping. E così «è nato Frida, un brand che offre un dialogo e un’interpretazione non convenzionale della contemporaneità, portando il passato nel futuro - inoltre - non posso che concordare con il professor Ricchetti - riprende Giorgi -, l’online va alla grande, e mi permette di raggiungere clienti anche in America».

Le professioni che rinascono

Creare indumenti nuovi, in un mondo pieno di stimoli, velocissimo e affannoso non è compito facile per chi lo fa di professione. Sempre più le persone manifestano la necessità di sentirsi uniche, «ecco perché ho deciso di intraprendere questo percorso professionale - spiega l’imprenditrice -, cerco pezzi vintage da collezione in tutto il mondo, e li riporto al presente in un modo nuovo e moderno, l’obiettivo è farli diventare dei «must have» unici per un look personalizzato».

In questo modo, «diventa sorprendente il dialogo con una figura come quella della sarta, che oggi è molto difficile da incontrare, perché un buon sarto è in grado di rimettere a modello indumenti di ogni genere, rendendoli attualissimi».

Questo significa quindi anche una condivisione di conoscenze, una dedizione al recupero, e non allo spreco compulsivo andato tanto di moda sino ad oggi. «È forse un vero cambio di tendenza? Penso di sì - afferma sicura la fondatrice di Frida -. Nel giro di pochi anni penso che tutte le grandi aziende di moda si adegueranno ai nuovi standard europei riguardanti la sostenibilità, il richio è che i clienti non acquistino più».

Sostenibilità dove sei

Allora può la moda essere sostenibile? Forse è una sfida obbligata a cui nemmeno la moda si può sottrarre. Gruppi del lusso globale investono in brand sostenibili, insegne del retail di massa propongono capi in fibre «eco-friendly», piccoli marchi inscrivono il riuso di materiali di scarto dentro l’estetica del fashion sofisticato, la responsabilità sociale diventa cool anche per gli uomini del marketing, si riscoprono artigianalità e qualità durevole.

Tuttavia, malgrado il boom che il commercio vintage online sta vivendo, il futuro presenta molte incertezze. «Sul mercato si confrontano infatti modelli di business molto diversi la cui sostenibilità economica deve ancora essere dimostrata - spiega l’economista -, lo sharing C2C, l’intermediazione in conto vendita, le piattaforme di proprietà dei marchi (riservati ai prodotti del marchio o aperte) o indipendenti, piattaforme B2B di Resale as a Service (RaaS). Il raggiungimento di adeguati livelli di profittabilità resta una sfida aperta che le startup del settore e i relativi modelli di business sono ancora lontane dal vincere. Un esempio sono le 3 piattaforme che finora si sono quotate in borsa: The Real Real, Poshmark e ThreadUp, nessuna di esse ha finora depositato bilanci senza perdite e il valore corrente delle loro azioni è oggi inferiore al prezzo di collocamento».

La normativa

Tuttavia sul mercato europeo, un elemento che potrà favorire il consolidamento del canale del seconda mano sarà l’entrata in vigore degli schemi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) imposti dalla direttiva europea 851 del Parlamento Europeo del 2018, e che prevede un maggior coinvolgimento di produttori e importatori nella gestione del fine vita dei capi di abbigliamento.

«La direttiva - spiega Ricchetti - è stata già incorporata nelle leggi nazionali in Italia, Francia, Germania, Spagna ed è in via di incorporazione negli altri Paesi membri. Questo significa che l’autorità massima europea ha finalmente aperto gli occhi su un tema imprescindibile, quello dei rifiuti, dunque, normando il riciclo degli indumenti, si dà inevitabilmente una mano all’ambiente».

Ginevra capitale del vintage svizzero 

Se la prima cosa che viene in mente quando si pensa ad un capo vintage è «vecchio e consumato», basta fare un giro per il centro di Ginevra per cambiare subito idea. Dalle vie di Carouge, lo storico quartiere italiano, a quelle della città vecchia. Piccoli negozi, tanti, e stracolmi di capi d’abbigliamento, accessori e bigiotteria delle migliori marche sul mercato, per constatare che a Ginevra - la città con più negozi di «second hand» della Svizzera - il vintage è più di moda che mai. «Tante giovani donne sono nostre clienti - racconta Anne Marie dal negozio dove lavora in Rue John Grasset -, acquistando capi vintage si ha l’opportunità di indossare indumenti unici, quindi distinguersi creando il proprio stile, e poi si può dare una mano all’ambiente».

Il lusso che fa bene

Proprio così, come uno slogan, pare che tutti coloro che si occupano di «vintage», promuovano «l’impatto zero di questi abiti», spiega Jan, ex buyer per un importante marchio francese. Da Parigi si è trasferito a Ginevra e ora come professione fa il personal shopper. «Parliamoci chiaro, non si tratta solo di risparmiare, si ha piuttosto la possibilità di adottare un approccio più sostenibile nei confronti delle abitudini di consumo, anche a «costo» di spendere di più».

Come ricicliamo la carta, la plastica, il vetro ecc. «perché non riciclare anche ciò che non mettiamo più? - domanda Barbara mentre esce da un camerino -. Io sono una cliente del negozio ma anche una fornitrice - ride soddisfatta - vendo ciò che non indosso più, oppure acquisto ciò che incontra il mio gusto». E poi riflette guardando la ragazza accanto a lei: «Sono fortunata, qui a Ginevra c’è moltissima scelta, anche mia figlia di 15 anni veste solo «second hand» e «vintage». Penso che i giovani siano ancora più sensibili al tema dello spreco delle risorse, è stato proprio grazie a lei che ho scoperto questo mondo e ora non posso più farne a meno: saranno almeno due anni che non acquisto più una borsa in una boutique».

Non solo abiti

E sarà la vicinanza con Parigi - indiscussa capitale dello stile, o forse è il costo della vita molto alto che a Ginevra diventa opportunità. «Qui le signore buttano via i loro capi firmati più velocemente di quanto si possa dire di Carrie Bradshaw», scherza Betty, gallerista e critica d’arte, citando il celebre film «Sex and the City». Dall’alto dei suoi vertiginosi tacchi, cappottino variopinto, borsa iconica praticamente introvabile ovunque, Betty, che sta «cercando degli orecchini vintage per un vernissage importante», mostra orgogliosa le foto del suo appartamento. «Non ci crederete - racconta - ma tutto l’arredamento l’ho trovato a Morges, dove, due volte all’anno si tiene il «Puces de Design», un vasto mercato di mobili di design retrò in un magazzino, lì si allestisce anche una formidabile sezione di abiti vintage».

L’abito in teca

E poi - «Eccoli! Prendo questi» - trovati gli orecchini, confida: «Io ho lavorato per diverse case d’aste, e in galleria ci sto da 15 anni. Ho delle amiche a Locarno, dove vado ogni estate in vacanza, che mi prendono in giro per questa mia passione per il vintage, lì probabilmente non si usa molto, oppure non è «cool». Io rispondo sempre: «Ma un quadro di Pollock si butta via perché è «vecchio»? No. Acquisisce valore col tempo. Lo mettiamo in cassaforte, o in una bella teca e lo ammiriamo. E allora è lo stesso per un intramontabile tailleur di Armani degli anni ‘80, oppure per una Kelly di Hermes. La moda è a suo modo arte, e dunque bisogna trattarla con rispetto».

Due sacchi

Nel quartiere di Eaux-Vives ci sono molti locali notturni, bar ristoranti alla moda. Davanti all’ennesimo negozio vintage ci sono due adolescenti: «Abbiamo qui due sacchi: scarpe e accessori di nostra mamma. La titolare del negozio li ha già messi online, è già tutto venduto! Ormai chi compra vintage sa di chi si può fidare, e così acquista anche online».

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